A.C. 2554
Signor Presidente, Governo, colleghe e colleghi, una successione di atti normativi hanno regolato la vita del Paese nell'affrontare l'emergenza epidemiologica, e con questo decreto, cosiddetto “riaperture”, noi discipliniamo alcune decisioni che sono state assunte il 16 maggio. Voglio ricordare qua, perché sembra che qualcuno si sia dimenticato, che c'è stato un passaggio al Senato che ha visto il contributo anche delle opposizioni.
Siamo ormai da anni, non sicuramente solo in questo periodo, in una fase in cui ci avviciniamo ad un monocameralismo, ma il passaggio al Senato ha visto anche la partecipazione delle opposizioni.
Sono contenute nel testo delle scelte che potrebbero sembrare superate, perché l'evoluzione decisionale in tempi di pandemia spesso è molto più dinamica del tempo di conversione parlamentare. Tuttavia non dobbiamo dimenticare che, sebbene il 3 giugno abbiamo conquistato una maggiore libertà sia di movimento sia di circolazione, il virus non è ancora stato debellato. Tenere un saggio equilibrio tra i fautori del “liberi tutti” ed i sostenitori di un approccio radicale è sicuramente la difficoltà maggiore che tutti i Governi stanno affrontando. Le scelte adottate in Italia e quelle in altri Paesi europei, con un'apertura graduale, soprattutto contraddistinta da una adeguata proporzionalità, sono risultate molto più efficaci rispetto alle direzioni prese in altre nazioni. Nella prima fase siamo stati anche apripista in Europa e modello per molte nazioni europee.
La scelta di istituire il lockdown ha comportato conseguenze dure e pesanti, soprattutto sul piano economico; eppure l'Italia è riuscita a contrastare l'epidemia evitando il propagarsi del virus nelle aree più contigue alle zone drammaticamente colpite. La nostra prudenza ha evitato di essere nelle condizioni più preoccupanti che si registrano in altri Stati: penso ad esempio a quello che affligge molte aree degli Stati Uniti ai tempi di Trump, dove continua drammaticamente il susseguirsi di tristi primati di contagio; penso al Cile, al Perù; penso per esempio al Brasile, dove il negazionismo di Bolsonaro ha prodotto purtroppo molte morti evitabili. Anche nel Regno Unito la tardività della presa di coscienza della severità delle pandemie, oppure la teorizzazione dell'immunità di gregge hanno prodotto il fallimento.
Questo decreto-legge ci ha formalmente fatto uscire dalla condizione di lockdown; dico formalmente perché va ricordato che lo stato di emergenza è in vigore fino al 31 luglio, e questo provvedimento detta delle misure applicabili fino a quella data. Oggi contestualmente ci sarà la comunicazione del Ministro Speranza sulla necessità della proroga del DPCM, che ne estende i contenuti del 14 fino al 31 luglio. Solo un passaggio alle Camere, e non potrebbe essere peraltro altrimenti, segnerà e motiverà la discussione parlamentare: l'esigenza di una proroga dello stato di emergenza, che non significa il ritorno del lockdown o l'assunzione di pieni poteri come qualcuno vuol far credere.
Questo è il terzo decreto-legge, che si sussegue dopo il decreto-legge n. 6 e dopo il decreto-legge n. 19 del 2020. Quest'ultimo definisce anche una cornice giuridica all'interno della quale possono agire i DPCM, restituendo centralità al Parlamento con il ricorso a una norma primaria. Voglio anche ricordare il contenuto dell'emendamento a firma del PD nel decreto-legge n. 19, che altrettanto restituisce la necessità della centralità parlamentare. Questo decreto-legge contiene un'innovazione però importante, che è stata trascurata nella discussione parlamentare e che ha invece riportato qui il collega Ceccanti: in una situazione epidemica, che è momentaneamente sotto controllo, non siamo più in presenza di un decreto-legge che permette alle regioni semplicemente e solo di inasprire le regole che ci siamo dati; ed è in base al comma 16 dell'articolo 1, sempre in ragione dell'andamento epidemiologico, che le regioni possono sia intensificare che allentare le regole di vita, di impresa e di convivenza. Una condivisione più ampia delle responsabilità a livelli di governo, che avrebbe dovuto trovare apprezzamento anche nelle parti politiche parlamentari, ma che invece, forse per convenienza politica, è stata ignorata.
Le restrizioni e limitazioni delle libertà individuali e della circolazione sono peraltro previste per motivi di salute all'articolo 16 della nostra Carta costituzionale, e hanno senza dubbio rappresentato un'esperienza unica dal dopoguerra ad oggi. Come cittadini in questa fase è doveroso continuare a coniugare il nostro senso di responsabilità con le nostre libertà, facendo tesoro di quello che abbiamo vissuto. Oggi le conoscenze scientifiche, cliniche, terapeutiche permettono di curare meglio, in modo più appropriato i pazienti infetti: siamo in grado di contenere i focolai, che ci sono, più facilmente pratichiamo i testi sierologici, i tamponi, buone prassi governano l'isolamento, la tracciabilità; ma altri studi, e l'abbiamo letto ieri, che sono ancora da accertare (penso a quello pubblicato sulla rivista BMJ del Global Health sull'immunità acquisita) possono determinare un cambiamento rispetto all'organizzazione di una gestione della prevenzione, soprattutto nelle aree più colpite, se sembra che l'immunità non sia così protettiva.
Regole basilari di protezione semplici non devono mai venire meno: proteggere una comunità non significa praticare una politica del terrore, come hanno colpevolmente insinuato alcuni politici. Preoccupa piuttosto assistere ad una sorta di generale rilassamento: lo vediamo nel poco utilizzo della app Immuni, nella scarsa adesione all'indagine sierologica avanzata dal Ministero, è crollata la vendita di mascherine, come se non ne fosse percepita l'utilità. Anche la decisione di bloccare i voli - lo discuteremo oggi - dai 13 Paesi dove la curva epidemica non è una curva sotto controllo, o i casi di importazione ci obbligano ad avere un maggiore rigore, e dobbiamo ancora affinare invece i controlli sugli scali intermedi.
Convivere in presenza del virus non ancora debellato e in assenza di un vaccino è la sfida più difficile e inedita che dobbiamo affrontare. L'Italia, con la Francia, la Germania e l'Olanda, ha investito sulla ricerca del vaccino sviluppato dall'università di Oxford con la multinazionale Astra Zeneca, che vede peraltro protagoniste nostre eccellenze italiane. I dati ci mostrano come i contagi e i decessi siano in diminuzione, i reparti delle terapie intensive non siano più in affanno, in molte regioni non registriamo più casi. Permettetemi qui di ricordare il fatto che mercoledì scorso all'ospedale Papa Giovanni di Bergamo, in uno dei più grandi hub italiani per SARS-COV-2, è stato dimesso l'ultimo paziente in terapia intensiva, nella gioia di tutti gli operatori sanitari e della dirigenza ospedaliera, quella gioia che voglio condividere qui in quest'Aula: per noi bergamaschi, per noi lombardi, per noi italiani è un segnale di speranza, con l'estrema riconoscenza e gratitudine che va a tutti gli operatori del sistema italiani, a chi si è adoperato nei reparti, chi ha sostenuto e curato i pazienti, al sistema di ricerca che lavora incessantemente per consentire di avere terapie migliori, a chi ha lavorato nelle retrovie, che sono essenziali, ai volontari e a chi ha garantito il servizio essenziale.
In questa fase è giusto e doveroso concentrare ogni sforzo per far ripartire questo Paese, e in questa direzione è andato il decreto-legge “rilancio”, andrà il decreto-legge “semplificazioni”. In pochi mesi abbiamo stanziato 80 miliardi; voglio ricordare qui che di questi 27,5 miliardi sono andati alla tutela delle famiglie e del lavoro, oltre 29 miliardi li abbiamo messi a sostegno delle aziende, delle imprese, che sono l'ossatura del nostro sistema economico, ed abbiamo immesso liquidità nel sistema e sorretto anche settori fondamentali: penso alle nostre fondamenta, al sistema manifatturiero, a quello del commercio, a quello del turismo, a quello dei servizi. Alle famiglie dobbiamo invece la ripresa dell'attività educativa: conoscenza, formazione, educazione sono la linfa essenziale per tutti gli studenti e per la tutela e la garanzia che il diritto allo studio sia garantito alle persone più fragili.
L'obiettivo principale è la ripartenza in condizioni di assoluta sicurezza per tutti. Da dicembre dello scorso anno abbiamo investito oltre 6 miliardi di euro per la sanità, 30 mila sono i professionisti che abbiamo ingaggiato: sono quelli la nostra forza e il nostro capitale umano, sul quale abbiamo la necessità di garantire stabilità ed investimento. In questa direzione va inquadrato il dibattito sul MES, le cui risorse sarebbero un contributo fondamentale per il miglioramento della salute.
Concludo. Con l'esigenza di modernizzare le nostre attrezzature ospedaliere, diagnostiche e di ricerca farmacologica, terapeutica e di investire sulle potenzialità che la tecnologia ci offre, dobbiamo rendere partecipe ogni tassello vitale del sistema salute degli italiani. Ma non dimentichiamoci delle donne e degli uomini che si occupano della salute individuale e collettiva, che sono il vero fattore indispensabile del nostro Servizio sanitario nazionale.
Abbiamo affrontato, Governo e Presidente, questi mesi che non hanno alcun precedente nella storia della nostra Repubblica: mesi indimenticabili, di cui portiamo addosso le ferite. Coniugare prudenza e ripresa è la sfida che ci accompagnerà per molto tempo, una sfida alla quale non ci sottraiamo, in cui non siamo soli. Solo una reazione collettiva e solidale può aiutarci ad uscire con la forza necessaria per aiutare tutti i nostri concittadini e non pagare il prezzo di ulteriori conseguenze per il rilancio dell'Italia.
Per tutte queste ragioni, annuncio il voto favorevole del Partito Democratico.